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Il ritiro di Simone Biles: un grido d’aiuto urlato al momento giusto

Simone Biles ha scatenato polemiche per il suo ritiro anticipato dalle Olimpiadi di Tokyo: la sua invece, è stata la scelta giusta nell’appropriata cornice olimpica per gridare al mondo che la salute mentale non è un capriccio

di Redazione Rumors.it | 31 Luglio 2021
Foto: Instagram

Si è chiesta se fosse opportuno, si è immaginata le conseguenze irreversibili, si è confrontata ponendo sulla bilancia i vantaggi e gli svantaggi di questa storia, constatando il peso del secondo piatto rispetto al primo. Simone Biles ci ha pensato ma la sua scelta è stata comunque origine di polemiche e articoli che sembrano non avere fine: il suo ritiro anticipato da Tokyo 2020 è stato un fulmine a ciel sereno per chi dava per scontata una medaglia, una performance fuori dalle righe (non fuori asse com’è successo davvero durante la gara a squadre), dato che, neanche da dire, la favorita nella ginnastica artistica era solo lei. Il “capriccio” com’è stato additato da tanti, il moto d’orgoglio com’è parso dalle inquadrature dopo il volteggio (l’elemento in cui ha sempre primeggiato) sono state le scuse dietro cui, i più cinici, non hanno voluto sentire il grido di aiuto di una ragazza di 24 anni. Gli occhi del mondo sulle sue spalle hanno avuto un peso troppo ingente e Simone, lasciando la pedana, ha scelto sè stessa a favore del resto.

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La decisione di lasciare un’Olimpiade, gesto estremo per un atleta che lavora quattro anni solo in vista di questo obiettivo, è stata un dono, un regalo a tutti i telespettatori che non intendono e faticano a capire la tensione del momento che vive uno sportivo durante la competizione più importante della propria carriera. Eppure, tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo vissuto la codetta ansia da prestazione, nelle situazioni più disparate. Ognuno ha la sua dimensione: un colloquio di lavoro, un esame universitario, una conferenza istituzionale ma se la salute mentale scricchiola è impossibile uscire da una grande prova, indenni. Senza segni sul cuore e soprattutto nella testa. Simone ha spiegato la sua decisione in conferenza stampa, dopo la vittoria dell’argento dietro la squadra russa: nessun infortunio ma la volontà di pensare alla propria incolumità mentale. Simone l’ha ammesso “Non vedevo l’ora arrivassero le Olimpiadi non perché iniziassero ma perché finissero in fretta”.

Simone Biles ritiro

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“Io sono ancora qui. Sono ancora su questo pianeta, questo è il grande impatto che ha avuto la terapia sulla mia vita”: parole che non si attribuirebbero a Michael Phelps, ma che sono state pronunciate dal grande nuotatore dopo i vari pensieri suicidi che si affollavano nella sua testa. Demoni da non riuscire a scacciare, come quelli di Simone, molestata sessualmente da Larry Nassar, pedofilo sotto le sembianze di un fisioterapista sportivo. Simili alla depressione di Naomi Osaka che ha volutamente evitato Wimbledon per dare il meglio a Tokyo, di cui è stata tedoforo orgoglioso. Eppure quell’impegno non è stato ripagato e la pressione l’ha cacciata fuori agli ottavi, proprio lei, seconda tennista del Ranking.

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Ancora non abbiamo capito che questi gesti non sono atteggiamenti infantili di chi non accetta il fallimento ma la richiesta di chi si trova sul baratro tra salute e malattia, in cui spingere l’acceleratore sarebbe il passo in avanti verso la caduta libera. L’unica via è fermarsi, non guardare avanti ma guardarsi dentro e fare il respiro profondo per chiudere gli occhi davanti allo scenario, girare le spalle per tornare a vivere, a giocare, a divertirsi. Simone ha esplicitato questo concetto affermando di essersi accorta di gareggiare per altri e non per se stessa e di aver perso il divertimento che la passione per un sport deve enfatizzare.

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Simone Biles: il ritiro è solo un grido d’aiuto sulla salute mentale

It’s ok not to be Ok” è stata la frase con cui Naomi Osaka si è mostrata sulla copertina del Time: faticheremo ancora anni a capire come sia possibile che atleti così esposti non abbiano avuto il giusto apporto psicologico di fronte a prove così dure, dal punto di vista mentale e fisico. Ma continueremo a girarci intorno finchè reputeremo che la terapia sia la conseguenza a cui arrivano solo casi eclatanti, quando in realtà dovrebbe essere giustamente annoverata tra le discipline mediche al pari delle altre, non come rifugio di chi è difettoso o inetto. Lo sport è un passatempo che fin dalla tenera età ci insegna ad ambientarci nel gioco più grande della vita ma Simone, Naomi, Micheal, Federica Pellegrini ci hanno dimostrato che il gioco non vale la candela, se a bruciare è la persona, non il personaggio.

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Avere i piedi ben saldi a terra per capire che si può sbagliare potrebbe sembrare scontato tanto quanto la medaglia d’oro di Biles eppure la ricerca di normalità sembra essere un miraggio per chi si misura ad alti livelli. È sottile il confine tra “Puoi farcela” e “Devi farcela”: quanti sportivi hanno tirato la corda nel momento della fatica e hanno esibito la loro performance migliore. Ma quando la testa pesa come pietra mentre il corpo volteggia, non conta la perfezione del movimento ma la motivazione per raggiungere quel movimento: Simone si è stoppata prima di raggiungere il baratro e la sua lezione prima che coraggiosa dev’essere considerata normale. “It’s ok not to be Ok”.

 

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