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È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino regala al pubblico un pezzo intimo e doloroso della sua storia

Un viaggio intimo e personale alla scoperta di uno spaccato di vita di Fabietto Schisa, costretto dalla vita a fare i conti con se stesso, in una pellicola autobiografica firmata dall’estetico inconfondibile di Sorrentino

di Sara Radegonda | 22 Novembre 2021
Foto. ufficio stampa

Paolo Sorrentino non ha bisogno di presentazioni perché dopo aver incantato il mondo con La grande bellezza, la sua estetica e arte cinematografica è divenuta patrimonio di un pubblico sempre più ampio. Ed è proprio a quella platea che il regista ha voluto parlare con il suo ultimo capolavoro. È stata la mano di Dio non è solo l’ultimo film di Paolo Sorrentino, ma è un regalo, una lettera di perdono a se stesso e alla città di Napoli, la sua città, culla di ricordi felici tanto quanto dolorosi. La pellicola, che arriverà nelle sale il 24 novembre e su Netflix il 15 dicembre, segue un particolare momento della vita di Fabietto Schisa, interpretato da Filippo Scotti, nella sua consacrazione ufficiale sul grande schermo, un ragazzo introverso che fatica a trovare il suo posto non solo nel mondo, ma anche tra i suoi coetanei, così distanti dalla sua sensibilità.

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Per questo motivo si rifugia nell’eccentricità della sua famiglia che dà sfoggio di alcune difficoltà, come la pazzia della zia Patrizia (interpretata da Luisa Ranieri), dalla sensualità dirompente, e la violenza dello zio, ma che ne nasconde altre, ben più gravi. L’idillio di una giovinezza serena – seppur in solitudine – per Fabiuccio inizia a sgretolarsi quando si scontra violentemente con la fragilità dei genitori (magistralmente interpretati da Toni Servillo e Teresa Saponangelo), nello specifico il tradimento del padre ai danni della madre segna la fine di quell’infanzia felice vissuta fino a quel momento, innescando un vortice di drammaticità senza ritorno.

Foto. ufficio stampa

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E, mentre la città di Napoli si prepara a dare il benvenuto a Maradona, Fabiuccio e il fratello (Marlon Joubert) dicono addio ai genitori, morti per un’inspiegabile e crudele scherzo del destino. Ma il dolore e lo spaesamento causati dalla perdita costringono il giovane a interrogarsi su se stesso e su quella “folle” vocazione che costituirà il turning point della sua vita. La consapevolezza di voler “fare il regista di cinema“inizia nella stanza di un ospedale, dove confrontandosi con la zia Patrizia ammette per la prima volta ad alta voce il suo desiderio, e termina nella cella di una prigione dove l’amico contrabbandiere gli regala l’ultimo pezzo del puzzle, il valore della libertà: “Gli orfani sono tutti un po’ disgraziati, ma tu hai la fortuna della libertà”. È stata la mano di Dio è un romanzo di formazione audiovisivo che, però, si distacca dai classici dettami del genere per elevarsi a qualcosa di altro. Sorrentino ha dato vita ad un film autobiografico, omaggiando al pubblico un pezzo di se, un capitolo doloroso della sua vita personale. E proprio perché la sua storia il fil rouge del film ha deciso di liberarsi dai tratti convenzionali del genere sostituendo il vittimismo e la compassione – patrimonio attraente dei cliché – con quell’ironia tipica di chi non può far altro che ridere delle disgrazie, eseguendo magistralmente la grande lezione di Molière.

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Foto. ufficio stampa

È stata la mano di Dio recensione: l’esordio sul grande schermo di Filippo Scotti

La potenza della pellicola risiede, senza dubbio, nell’umanità di un racconto esente da sfarzi o artifizi, ma con un efficiente richiamo all’immaginario della famiglia napoletana – senza cadere nella trappola dei luoghi comuni – in cui il dialetto gioca un ruolo principe. È proprio nella questione dell’utilizzo del dialetto che probabilmente la candidatura della pellicola agli Oscar 2022 traballa, perché la lingua ricopre un ruolo così determinante che il doppiaggio potrebbe sporcarne l’autenticità dell’effetto. Si riconferma sempre più vincente il sodalizio artistico Sorrentino-Servillo: quest’ultimo, nonostante la non centralità del suo ruolo, si riconferma un elemento catalizzante dello schermo. In un cast quasi neorealistico, spicca Filippo Scotti, già insignito del premio Marcello Mastroianni, che porta nella pellicola non solo un talento innegabile ma la sensibilità ed innocenza di un ragazzo di ventidue anni. In un’intervista rilasciata dall’attore, egli ha confessato di non aver avuto la pretesa di vestire i panni di un giovane Sorrentino bensì di aver portato la sua personale interpretazione della storia. È stata la mano di Dio è una grande lezione di umanità, in cui Paolo Sorrentino ha voluto rendere omaggio al suo dolore attraverso quello stesso mezzo che gli ha permesso di cannibalizzarlo.