Per Elisa – Il caso Claps e il rischio di cadere nella retorica del dolore: perché è giusto parlarne
Per Elisa, il caso Claps ha esordito con il suo primo episodio: tra la paura di cadere nell'esaltazione del dolore e la troppa narrazione, Per Elisa dimostra il perché dovremmo parlare di più di cronaca nera (ma non nei talk show)
Per Elisa- il caso Claps, dopo mesi di attesa e tante parole tra chi gridasse già al disastro e chi no, ha esordito con la sua prima puntata. La fiction, che vede come protagonista un credibilissimo Gianmarco Saurino, premette di affrontare la scomparsa di Elisa Claps, sedicenne originaria di Potenza, letta da un punto di vista inedito rispetto a tutte le altre fiction ispirate a casi di cronaca così celebri: non il punto di vista di Elisa, nemmeno quello dell’assassino, Danilo Restivo (interpretato da un bravissimo Giulio Della Monica), ma il punto di vista della Famiglia Claps, in particolare del figlio maggiore Gildo. Il rischio di cadere nell’esaltazione del dolore è altissimo, ma si può affermare con quasi assoluta certezza che questo non sembra il caso: il lavoro del regista Marco Pontecorvo ci accompagna per mano con grande rispetto e delicatezza all’interno del dolore di una famiglia che da 30 anni è ancora alla ricerca della verità.
LEGGI ANCHE > I Leoni di Sicilia arriva su Disney+, Paolo Genovese: “La sfida più grande? L’epoca, e il tempo”
Per Elisa – il caso Claps serie: anatomia di due famiglie
L’intero primo episodio si snoda in due momenti principali: prima del 12 settembre 1993 e dopo il 12 settembre 1993 – data della scomparsa di Elisa. Nella prima metà ci si avvolge e coccola nell’amore fraterno che scorre tra Elisa e Gildo, dispiegato in un legame fatto di baci, carezze, sguardi, ma anche di dispetti e male parole. Il tutto senza mai avere l’impressione che ciò che stiamo guardando sia forzato o non reale rispetto a ciò che accadeva davvero in casa Claps: i loro membri ci aprono la porta all’interno della loro famiglia, ci affezioniamo a tutti mentre riusciamo già a delineare i tratti caratteriali che emergeranno in ognuno quando Elisa non ci sarà più. E sarà proprio questo a farci più male: le caratteristiche migliori dei membri della famiglia Claps si trasformano ed emergono in maniera prepotente dopo il 12 settembre: l’affetto e il senso di colpa di Gildo si trasformano piano piano in rabbia e aggressività, l’amorevole severità di Filomena in freddezza, l’amore di papà Antonio in apatia e insofferenza e l’equilibrio di Luciano in un muro affettivo.
Il loro perfetto contraltare è la famiglia Restivo, i cui membri non ci aprono la porta, ma ci permettono di spiare la loro quotidianità dal buco della serratura o dalla finestra (proprio come Danilo faceva con le sue vittime): in questa famiglia tutti conoscono le parafilie di Danilo -tanto che il telefono ha un lucchetto, per far sì che ogni volta che Danilo abbia necessità di fare una telefonata debba chiederlo con grande vergogna e riverenza al padre – e l’impegno di ogni membro non è quello aiutarlo, sarebbe una vergogna anche ammettere il problema, ma di nasconderlo.
LEGGI ANCHE > Le previsioni meteo di Mediaset salveranno il trash: perché è così importante preservarlo?
Elisa Claps caso: la maledizione di casa Restivo
Famiglia Claps e Famiglia Restivo sono dipinte esattamente agli antipodi: l’una, incurante di apparire esagerata di fronte al paese e alle istituzioni pur di scoprire la verità; l’altra disposta a mentire e negare per far sì che la loro verità non esca fuori, evitando con tutte le loro forze di mettersi in ridicolo. Sin dai primi minuti si percepisce come Elisa sia una benedizione per la Famiglia Claps, come Danilo è una maledizione per i Restivo. Eppure questo non viene esposto in maniera lampante, altrimenti simpatizzeremmo sempre e solo per Elisa, ma la costruzione del personaggio di Danilo è talmente sfaccettata, complessa e ben riuscita che non si può non provare pena e un briciolo di vergogna per un ragazzo che non rappresenta di certo la fisionomia e l’atteggiamento del classico killer.
Foto: Ufficio Stampa Rai
LEGGI ANCHE > Belve, Isabella Ferrari torna a parlare della malattia: “È la mia forza”
La costruzione di una Potenza come “città dell’apparenza”: l’indifferenza delle Istituzioni e della Chiesa
La storia di queste due famiglie è racchiusa nel contesto di una Potenza, che in questo caso più che mai, viene dipinta esattamente come “la città dell’apparenza” e capitanata in questa sua accezione dalla figura di Don Mimì Sabia (personaggio non ancora affrontato in maniera approfondita nella serie) e dalle istituzioni. La Questura inizialmente volta le spalle alla Famiglia Claps, insinuando che Elisa si sia allontanata volontariamente a causa del clima oppressivo che si respirava in casa, e in seguito anche la Chiesa volterà le spalle a Filomena quando si rivolgerà allo stesso Don Mimì chiedendo aiuto. La fiction però non ha l’intento di mettere in croce nessuno, né le istituzioni e né tantomeno la Chiesa, ma gettare uno sguardo sulle diverse figure che orbitavano intorno alla Famiglia Claps, con una leggera critica al pregiudizio che aleggiava sui casi di scomparsa.
Altro particolare interessante è l’introduzione della televisione: Gildo, non ottenendo le risposte attese da parte della Questura, si rivolge alla televisione facendo un’appello inizialmente alla rete locale, in seguito anche a Chi l’ha visto?. Per chi conosce bene il caso sa che in futuro proprio questo programma sarà di fondamentale importanza per la svolta che prenderà il caso. Così in una sorta di richiamo diegetico e metateatrale si parla della televisione nella televisione: come questi programmi sono stati utili alla famiglia Claps per diffondere la storia di Elisa, anche in questo caso la serie sarà necessaria per non scordarci dell’orrore che ha scatenato questo caso, senza però la morbosità voyeristica per la cronaca nera con la quale, in molti casi, si tende a fare approcciandosi a casi così complessi.
Per Elisa – Il caso Claps per far sì che non accada mai più a nessuna
La delicatezza e il rispetto con il quale viene raccontata la storia di Elisa e della sua famiglia (non vi è alcun riferimento né immagine esplicita al suo omicidio) ci ricorda che il dolore è umano ed è condivisione dell’esperienza altrui. Guardando Per Elisa – il Caso Claps condividiamo il dramma di Gildo nella maniera più assoluta e pura. La scelta di voler raccontare in questo modo e a questo scopo la terribile storia della scomparsa di Elisa non è giocare con il dolore altrui, bensì è ricordarci che il dolore è reale ed è un’esperienza condivisa e condivisibile. E questo perché una volta che il televisore si spegne nella nostra mente non rimanga l’orrore di una storia terrificante, ma appaia il sorriso di Elisa affinché, in un mondo ideale e perfetto, ciò che è accaduto a lei non accada mai più a nessuna ragazza.
Foto: Ufficio Stampa Rai