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“La sociedad de la nieve” racconta il disastro aereo delle Ande, in tutta la sua umanità | La recensione

Un film che racconta una storia di sopravvivenza, di speranza e di attaccamento alla vita sopra ogni cosa: è la vicenda dei 16 ragazzi sopravvissuti al disastro aereo delle Ande del 1972

di Beatrice Anfossi | 10 Settembre 2023
Foto: La sociedad de la Nieve/Netflix

Una storia vera, che va oltre ogni finzione cinematografica: è la vicenda di 16 ragazzi uruguayani che nel 1972 sono sopravvissuti per 72 giorni su un ghiacciaio delle Ande, dopo che l’aereo su cui viaggiavano verso il Cile è precipitato, causando la morte di 29 persone. Così la Biennale del Cinema di Venezia ha deciso di chiudere la sua 80° edizione, con il film La sociedad de la nieve, diretto da J. A. Bayona e interpretato da un cast completamente sud americano. Presenti in sala, oltre ad alcuni protagonisti, anche tre dei sopravvissuti, quasi in un passaggio di testimone dalla realtà alla finzione.

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La sociedad de la nieve recensione: l’umanità e la fratellanza al centro del film

L’incredibile storia, già al centro del cult degli anni Novanta Alive – Sopravvissuti di Frank Marshall, viene ripresa da Bayona mettendo in luce, in particolare, gli aspetti più umani della vicenda: i 16 giovani – ma anche coloro che muoiono nei giorni successivi allo schianto – anelano alla vita con una tenacia che non vacilla mai, neanche nei momenti di maggior difficoltà. E in questo scenario ostile e difficile anche solo da concepire, a stupire è lo spirito di profonda fratellanza che si genera spontaneamente tra i ragazzi, tratto che regia e sceneggiatura hanno saputo valorizzare alla perfezione.

Foto: G.Zucchiatti – La Biennale di Venezia – Foto: ASAC

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Per tutta la durata del film la sensazione non è di osservare dall’esterno una situazione drammatica, provando pena per i suoi protagonisti; al contrario, ci si ritrova – nostro malgrado – parte di quel gruppo, coinvolti nell’attesa operosa di quello che accadrà, pur già sapendo come andrà a finire. Si prova il freddo, il senso di oppressione al petto, la frustrazione per una natura che si accanisce implacabile, l’ammirazione per il coraggio e l’ostinazione a voler sopravvivere a qualunque costo.

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Nel gruppo non c’è nessuno che non si dia da fare, ognuno ha il proprio ruolo: c’è chi studia Medicina e assiste i feriti, c’è chi ripara la radio, c’è chi ha il sangue freddo per fare ciò che nessun altro ha il coraggio di fare, c’è chi semplicemente riesce a tenere alto il morale. Tutti per tutti, nessuno contro nessuno: anche al momento della decisione più difficile – quella di cibarsi delle persone morte nello schianto – chi è contrario non si oppone, semplicemente fa la propria scelta, senza interferire nella libertà altrui. È anche questa una forma di amore incondizionato, di un affetto fraterno che consente di trovare anche nella propria morte un senso, come accade ad uno dei protagonisti.

Il film nel complesso regala quindi, senza dubbio, gli elementi tradizionali di un survival movie – la suspence, l’adrenalina e al contempo l’angoscia – ma riesce anche a restituire uno spaccato di natura umana che commuove, invitando implicitamente lo spettatore a dare maggior valore a ciò che possiede: la vita, su tutto; ma anche l’amicizia, gli affetti e la speranza che, in qualsiasi situazione ci si possa trovare, potrà andare meglio.