Anna Elena Pepe presenta Miss Agata a Venezia: “Uso la commedia per arrivare al cuore dei drammi”
Al Festival del Cinema di Venezia abbiamo incontrato Anna Elena Pepe, sceneggiatrice, regista e attrice di Miss Agata, cortometraggio vincitore del premio miglior sceneggiatura al Premio Starlight International Cinema Award
Anna Elena Pepe è un’artista a tuttotondo: sceneggiatrice, regista e attrice. Le sue tre anime sono converse all’interno del progetto che ha presentato al Festival del Cinema di Venezia al Premio Starlight International Cinema Award, Miss Agata. Il cortometraggio, insignito anche del premio come miglior sceneggiatura proprio all’interno dello spazio Starlight, tratta in 20 minuti di diversi temi come la differenza di genere, la violenza, il disturbo di stress post-traumatico e integrazione attraverso gli occhi di Agata, una buffa ragazza costretta a scappare da una relazione tossica che ritroverà nell’amicizia di Nabil (Yahya Ceesay) un modo per andare avanti e metabolizzare il trauma. Dal diploma all’accademia Guildhall School di Londra come attrice a Miss Agata, Anna Elena si è raccontata ai nostri microfoni.
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Ti sei diplomata a Londra come attrice e dopo hai deciso di diplomarti anche in sceneggiatura. Come si è sviluppata questa passione?
A me è sempre piaciuto scrivere, poi quando ho fatto l’accademia ti invogliavano a scrivere. In Inghilterra gli attori molto spesso sono anche autori e questo fa parte anche del percorso; perciò, è stata una cosa quasi incoraggiata.
Poi è nata come un’esigenza, io mi sono sempre sentita a mio agio in qualsiasi posto ma anche un outsider dappertutto. Scrivere mi aiuta a dare forma al mondo e crearne uno dove tutto abbia senso.
Hai parlato di come l’accademia inglese invogli gli attori ad essere anche autori, cosa che qui in Italia non avviene. Quali sono quindi le differenze tra la scuola di recitazione britannica e la scuola italiana?
Secondo me da una parte la differenza non la fa il paese, ma il progetto. Se tu stai lavorando con un bravissimo regista, una buona produzione, in generale ti viene garantito un certo tipo di lavoro, mentre un low budget ti crea difficoltà dappertutto. Quello per cui ho scelto l’Inghilterra all’epoca è proprio perché vi è centralità dell’autore: chi scrive è molto importante. In Italia la tradizione è quella di un teatro di regia per cui il regista è molto importante, in Inghilterra è il contrario perché gli autori sono delle star. Questo viene da una tradizione teatrale che è diversa: la centralità dello scritto e di chi ha fa il testo.
Con Miss Agata stai cercando di portare questo nuovo modello anche in Italia, dato che sei attrice, regista e sceneggiatrice?
Si, il soggetto e la storia sono mie. È stato co-sceneggiato con Nicola Salerno e co-diretto con Sebastian Maulucci anche perché io all’epoca ero quattro mesi incinta. Già fare l’attrice era abbastanza impegnativo, avere un co-pilota è stato molto d’aiuto.
Ciò che ho voluto portare in Miss Agata è il tono: una cosa seria come il disturbo da stress post traumatico che le vittime possono sviluppare dopo una violenza però con toni da dramedy. All’inizio infatti vedi magari una ragazza un po’ buffa, pensi sia una commedia e poi scopri che in realtà non è proprio così perché c’è un trauma vero.
La trama sembra ispirarsi molto alla poetica pirandelliana: il sorriso per nascondere una tragedia. Pensi quindi che la comicità possa aiutare a capire meglio il dramma altrui?
Si, non ci può salvare ma può sicuramente aiutarci ad arrivare al cuore altrui in una maniera totalmente inaspettata. Gli spettatori non si aspettano il dramma guardando questo tipo di prodotto, pensano di star guardando una commedia e vengono presi alla sprovvista dal twist e in quel momento di cambiamento riesci a lanciare un messaggio profondo che rimanga attaccato alle persone. Questo si faceva anche nella commedia all’italiana una volta, la tradizione classica è questa.
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Prima hai affermato che la tua esigenza di scrivere nasce dal voler dare una tua forma al mondo e su Instagram hai scritto che “crei personaggi femminili anti convenzionali”, ti ritrovi nei personaggi che crei?
Creo personaggi non convenzionali perché l’esigenza di scrivere è nata dal fatto che come attrice mi sono capitati ruoli che era palese fossero stati scritti da uomini. Poi mi sono sempre chiesta “io di ragazze normali ne vedo tutti i giorni però non le vedo in tv, al cinema” quindi secondo me questa normalità si porta dietro una serie di caratteristiche: se Agata fosse stata una modella, probabilmente le dinamiche sarebbero state diverse quindi decidere di portare un certo tipo di protagonista era fatto proprio per far sì che una donna spettatrice vi si riconosca.
Ho fatto molte interviste a vittime di trauma e una risposta ricorrente era che si vedevano con ironia, erano gli altri che tendevano ad esorcizzare ciò che era accaduto a loro. Questa cosa mi ha colpito moltissimo e poi quando alcune di queste hanno visto Miss Agata mi hanno detto che si sono divertite, commosse ma soprattutto si sono sentite capite in questo personaggio. È importante per me dare questa impressione sul grande schermo.
Miss Agata ha riscosso molto successo da parte della critica e in 20 minuti sei riuscita a trattare temi davvero delicati come le relazioni tossiche, la salute mentale e i pregiudizi. Come sei riuscita a organizzare il tutto con così poco tempo?
Io sono partita da una scena centrale del film che è quella della cena in cui succede una cosa. Poi da lì ho lavorato a ritroso per capire come costruire i personaggi fino ad arrivare a quel momento lì. In seguito, sono giunta ad una conclusione.
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Ti piacerebbe renderlo un lungometraggio?
Ci sto già lavorando ma per non perdere lo spirito del film avrà una gestazione più lunga perché andranno gestiti tutti questi aspetti senza però snaturare il progetto originario.
Il prossimo step per Miss Agata quale sarà?
Miss Agata continuerà ad essere presentato nel circuito dei Festival. Ormai è in giro da 7 mesi e non è tantissimo, di solito i film fanno un anno e mezzo. Poi forse finirà su qualche piattaforma, ma è ancora tutto in forse. In seguito mi piacerebbe sviluppare un lungometraggio, al momento però ho un altro progetto di lungo che è parte in Italia e parte in Inghilterra. Come attrice sto partecipando ad una serie che si chiama Concordia diretta da Barbara Eder che uscirà in autunno.
Miss Agata si inserisce in una sorta di linea creativa che fa della dramedy un modo di parlare di certi temi che mi stanno molto a cuore come la differenza di genere e l’integrazione: io stessa nel mio piccolo sono un’immigrata all’estero da quando ho 18 anni. È il famoso “trovare un posto nel mondo” che poi finisce nel crearselo.
E poi alla fine il tuo posto nel mondo è interno: quando ti risolvi come persona, ad un certo punto stai bene ovunque ma bisogna fare un percorso interiore che ti porti poi ad ottenere questo.
Hai qualche consiglio da dare ai giovani aspiranti attori, registi o sceneggiatori che si affacciano per la prima volta al mondo del cinema?
Si, uno dal punto di vista tematico: raccontare quello che si sa. Comunque ognuno di noi ha vissuto delle cose uniche e raccontarle fa bene al mondo delle storie ed è autentico. Sceglierei qualcosa vicino alla propria realtà.
Il secondo consiglio è più basico: essere sempre gentili e professionali con tutti perché non si può mai sapere chi si ha di fronte o chi diventerà quella persona. In generale sempre comportarsi in modo rispettoso con le persone che si hanno attorno. In generale questo lavoro è una maratona e non uno sprint: bisogna costruire una reputazione che va avanti negli anni. Ogni giorno bisogna costruire un foglio per costruire una pila, se anche solo un foglio è posizionato male poi la pila sarà storta e cade.
Foto: Ufficio Stampa