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Junk – Armadi pieni, la docu-serie sull’impatto del fast fashion di cui il mondo aveva urgentemente bisogno

Punto di saturazione. In economia, il punto di saturazione è il livello di consumo in cui il consumatore non ottiene più utilità e, anzi, le unità aggiuntive che ottiene sono indifferenti o dannose. E il mondo come lo conosciamo – e viviamo – oggi sembra essere drammaticamente giunto a questo punto. Ma al medesimo punto […]

di Sara Radegonda | 6 Aprile 2023
Junk - Armadi pieni Foto: Ufficio stampa Sky Italia

Punto di saturazione. In economia, il punto di saturazione è il livello di consumo in cui il consumatore non ottiene più utilità e, anzi, le unità aggiuntive che ottiene sono indifferenti o dannose. E il mondo come lo conosciamo – e viviamo – oggi sembra essere drammaticamente giunto a questo punto. Ma al medesimo punto di saturazione sono giunte anche le conseguenze dei comportamenti che la popolazione (quella nata della parte fortunata del mondo), cresciuta e diligentemente educata al consumismo, ha sempre attuato nella noncuranza e nella superficialità che caratterizza proprio tale parte benestante del pianeta. Fare pulizia degli armadi ad ogni stagione per poi sostituire i vestiti buttati – o donati – con qualcosa di nuovo è una delle azioni naturali – si potrebbe azzardare quasi fisiologiche – a cui siamo abituati, ma delle cui ignobili conseguenze in pochi si sono mai effettivamente curati. Fortunatamente però, negli ultimi anni, la sensibilizzazione sul tema del problema e dei danni provocati dal fast fashion e dai comportamenti consumistici è giunta all’attenzione del pubblico, costringendolo a fare i conti con la propria coscienza. Ma oggi oltre alle parole scritte e al dibattito, si aggiunge il “carico da 90”: le immagini, la cui drammatica potenza non riesce – neanche volendo – a lasciare indifferenti.

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Junk armadi pieni YouTube e presto su SkyTg24: la docu-serie che tocca la coscienza

Il lato oscuro del consumismo sfrenato nel settore moda oggi può godere di una testimonianza drammaticamente visibile, grazie alla nuova docu-serie Junk – Armadi Pieni, co-prodotta da Will Media e Sky – disponibile da martedì 4 aprile con le prime due puntate sul canale YouTube di Sky Italia e a partire da sabato 8 aprile sarà proposta anche su Sky TG24 – che ha il pregio maggiore di accendere un faro sugli effetti di questo fenomeno, mostrando le storie e le immagini delle persone e degli ecosistemi che ne subiscono direttamente l’impatto negativo. A guidare le fila di un racconto itinerante intorno al mondo è Matteo Ward, imprenditore, divulgatore e attivista, che ha curato la ricerca dei contenuti scientifici della docu-serie, scritta e diretta da Olmo Parenti (regista del documentario One day One day) e Matteo Keffer di A Thing By.

Junk armadi pieni Sky

Junk – Armadi pieni
Foto: Ufficio stampa Sky Italia

In ogni puntata di Junk – Armadi Pieni, Matteo Ward arriva in un Paese diverso e approfondisce un diverso effetto del sovraconsumo di vestiti: in Cile e Ghana, le discariche tessili del mondo, viene affrontato il tema degli scarti di indumenti con la visita nei luoghi, nel bel mezzo del deserto, in cui migliaia di tonnellate di vestiti vengono quotidianamente abbandonati. In Indonesia si scopre come la produzione di fibre artificiali stia annientando la biodiversità del Paese. In Bangladesh viene mostrato cosa è cambiato – e cosa no – a distanza di dieci anni dal crollo dello stabilimento tessile di Rana Plaza, il più grande incidente avvenuto in una fabbrica tessile, con oltre 1100 vittime. Il viaggio prosegue poi in India, per scoprire come una richiesta sempre maggiore abbia stravolto millenni di cultura della coltivazione del cotone nel Paese. L’ultima tappa è l’Italia, per raccontare i problemi che abbiamo anche a casa nostra, che però a volte sono meno visibili di altri.

Junk armadi pieni Sky

Junk – Armadi pieni
Foto: Ufficio stampa Sky Italia

Junk armadi pieni recensione dei primi due episodi: il dramma delle immagini che (si spera) scuota le coscienze

Oggi quando i temi del dibattito pubblico diventano caldi, le immagini iniziano a diffondersi a dismisura creando una cassa di risonanza che finisce per essere, inevitabilmente, fastidiosa – anche quando l’argomento non dovrebbe esserlo. Raggiungendo quel famoso punto di saturazione. Con i primi due episodi di Junk – Armadi pieni però l’effetto è opposto. Perché non è pensabile restare indifferenti alle immagini di quegli immensi pezzi di terra coperti sotto tonnellate di vestiti, in cui marca e prezzo non hanno più alcuna importanza. Così come non è plausibile rimanere immuni dal peso di quel paradosso di cui siamo crudeli carnefici: come sottolinea Matteo Ward nel corso del secondo episodio, “la bellezza che la moda crea quotidianamente in Europa, dà origine all’inferno in terra in Africa”. Un paradosso che pesa soprattuto di fronte all”innocenza dei bambini che in quell’inferno sono nati e cresciuti, ma che non smettono comunque di sognare “le ciabatte di Gucci”. Una trappola figlia del capitalismo a cui non sembra esserci alternativa, se non quella di saper cercare il cattivo che è in noi, tirare il freno di emergenza e smettere di comprare ciò di cui non si ha bisogno. “Che sia per un mese, per un anno o per tutta la vita”.