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Fabio d’Amato racconta la potenza suggestiva del suo nuovo singolo “Missing Hugs”

La suggestione della musica strumentale prende vita tra le dita di Fabio D’Amato e del suo nuovo singolo Missing Hugs

di Sara Radegonda | 31 Maggio 2021
Foto: Ufficio stampa

Le parole avvolgono la nostra quotidianità in modo totalizzante che siano canzoni, titoli di giornale o post sui social. Alle volte però è incredibile riscoprire la suggestione di una canzone che affida la potenza del suo messaggio alle sole note del pentagramma. All’immediatezza della parole subentra lo scorrere delle note di una melodia strumentale che, nonostante la soggettività intrinseca, riesce a trasmettere comunque un pensiero universalmente comprensibile.

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La mancanza del contatto fisico, sofferta durante la pandemia, ha ispirato l’ultimo brano del compositore Fabio D’Amato, Missing Hugs. Il singolo è caratterizzato da un mood molto essenziale, in cui le note del piano vanno a creare una melodia romantica, malinconica che trascinano l’ascoltatore verso una dimensione intima, quasi onirica, sospesa. La consapevolezza che traspare dal movimento delle dita di D’Amato sul pianoforte è frutto di una passione per la musica nata sin da bambino e portata avanti nel tempo con dedizione, fino alla scoperta del suo “habitat musicale”: la composizione più pura.

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Fabio D’Amato Missing Hugs: noi di Rumors.it lo abbiamo incontrato

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Il suo ultimo singolo “Missing Hugs” racconta la realtà che tutti stiamo vivendo, si ricorda il momento in cui ha sentito l’esigenza di comporre questo brano?

In realtà l’idea di poter trascrivere in note la mancanza di abbracci e contatti fisici con le persone è partita dal primo lockdown del 2020. Era una sensazione davvero atipica e terribile, neanche una stretta di mano, la paura di toccarsi, la distanza tra le persone, non conoscevamo neanche bene questo virus….insomma è stato davvero un momento complesso e per alcuni aspetti delirante. Una strana sensazione mi è rimasta per tanti mesi fino a quando, ad inizio 2021, si è tornati ad assaporare nuovamente il gusto dei lockdown severi; ed ecco che lì questa esigenza è diventata necessità e allora mi sono seduto di fronte ai miei fidati tasti e, come spesso mi accade, le mani sono andate da sole, e più mi emozionavo e più la sinergia del mio corpo con lo strumento diventava forte, fino ad arrivare alla fine della composizione, con le ultime note pestate, quasi una liberazione, quasi per volersi ribellare ad una situazione non più umanamente sostenibile.

Il singolo “Missing Hugs” è stato preceduto da altri due brani “Alice 2” e “Power”, c’è un fil rouge che unisce i suoi ultimi singoli oppure ognuno ha un percorso indipendente?

Cerco di scrivere sempre quando ho davvero la necessità di voler comunicare, quando qualcosa mi emoziona molto, quindi gli argomenti rimangono indipendenti senza un filo conduttore, attingo semplicemente da quello che mi capita o vedo capitare intorno a me e da tutte quelle cose che mi colpiscono fortemente. Così mi butto a comporre, mediamente sempre al buio e di notte, non voglio essere distratto da luci, rumori o altro; mi piace rimanere solo con il sentimento che provo immerso nel silenzio.

Quanto è importante, secondo lei, nel mondo della musica strumentale, la componente delle immagini? Come sceglie il racconto visivo dei suoi videoclip? 

Penso che immagini e suoni debbano andare insieme e portare il pubblico ad una vera e propria sinfonia sensoriale, dove udito e vista uniti rafforzino i sentimenti ed i messaggi. La componente visiva diventa quindi quasi una musica di sottofondo così come la musica diventa immagine di contorno; insomma la difficoltà è quella di riuscire a valorizzarsi a vicenda, può sembrare banale, ma non lo è per niente. Il racconto visivo è sempre condiviso con il regista che ascolta il brano, a volte nascono delle intuizioni direttamente da chi realizza il videoclip, altre succede che io stesso faccia partire l’idea. A volte mi capita di scrivere pensando già a delle immagini; esse aiutano e focalizzare una direzione per la composizione.

Nei suoi brani racconta storie scegliendo, invece delle parole, le note musicali. L’assenza di parole contribuisce a creare un aspetto più soggettivo nella percezione: il compositore quanto controllo ha del messaggio che vuole trasmette?

Io dico spesso che per comporre qualcosa di sentito, di vero, in realtà bisogna perdere il controllo, bisogna lasciare che quello che si sente pervada la nostra mente e il nostro cuore, lasciarsi andare all’emozione, perché sarà quella la vera linfa e ispirazione per la composizione. Una volta che si è fuori controllo allora ci si siede davanti al proprio strumento e il caos diventa esperienza. Bisogna saper prendere l’energia e indirizzarla alle mani, le quali dovranno guidare le varie sensazioni… Può capire di sentirsi quasi male alla fine di una composizione – soprattutto se particolarmente intensa – perché è un po’ come parlare al proprio psicologo: lo strumento diventa così ciò che ti ascolta e ti aiuta. Alle fine riascoltare quello che si è registrato è assolutamente incredibile!

La passione per la musica quando si è manifestata in lei? Negli anni la sua visione e percezione della musica è cambiata?

Ho iniziato a suonare che avevo 7 anni e, dopo tanto tempo ed esperienze, è necessario cercare di seguire una propria percezione e visione. Viviamo tempi complicati dove tutto è veloce, dove la musica è un fast food: tanto materiale e poco tempo per ascoltare tutto. Oggi c’è tanta musica prodotta – di ogni genere e qualità – quindi è difficile pensare di poter scrivere qualcosa che potrà essere ascoltata con la stessa freschezza tra 10 anni ad esempio. Si vive molto di mode, di suoni, di stile…io con il tempo ho trovato il mio habitat musicale nelle colonne sonore, nella composizione più pura, a volte sporcata anche dall’elettronica. Mi piace l’idea che la mia musica possa rimanere atemporale, ascoltata tra tanti anni senza che possa apparire fuori moda o antica.

Se potesse scegliere la colonna sonora di quale film vorrebbe comporre?

È una risposta difficile da dare, perché ogni film ha il proprio fascino e sarebbe complicato sceglierne uno soltanto. Sicuramente un film d’autore mi piacerebbe molto, ma alla fine le colonne sonore possono entrare tranquillamente in qualsiasi contesto o trama, perché sono le cornici che possono valorizzare tanti tipologie di quadri.

Quali progetti ha per il futuro? Ci saranno altri brani?

Ho sempre tanti progetti in testa: continuo a collaborare con altri artisti. Questo è un elemento molto importante perché il confronto è sempre molto stimolante; poi in questo periodo sto preparando il mio terzo album che dovrebbe uscire per fine Giugno.

Qual è un sogno professionale che vorrebbe realizzare?

Sicuramente comporre una colonna sonora per un film importante. Mi piacerebbe scrivere qualcosa che possa rimanere nelle orecchie del pubblico, quindi non un semplice sottofondo ma una vera e propria onda sonora che possa rapire gli spettatori durante la visione del film.

Sara Radegonda

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